Voglia di cocktail? Sì, ma selvatici

Come il trend del foraging drink sta cambiando radicalmente la mixology

C’è un piacere antico nell’assaggiare un frutto che si è appena colto con le proprie mani. Forse perché ci siamo nutriti così per centinaia di migliaia di anni. Forse perché, vivendo ormai lontani dalla natura, tendiamo a dimenticare quanto siano gustosi i prodotti della terra. Di certo molti di noi hanno conosciuto, almeno una volta nella vita, l’epifania di assaporare una mora di rovo nel bel mezzo di una passeggiata in natura. E non hanno potuto fare a meno di godere dell’esperienza. 

Da questo stesso piacere è nata una nuova categoria di miscele alcoliche: i famosi cocktail selvatici. Studiamo insieme l’evoluzione di questa nuova filosofia del mixology.

I benefici di
“andar per erbe”

La raccolta di piante, frutti, semi, vegetali e funghi spontanei, ovvero – come dicevano i nostri nonni – “andar per erbe”, ci ha permesso di resistere a lunghi periodi di carestia. La prova di ciò è custodita nelle nostre tradizioni culinarie regionali, che prevedono ancora oggi l’uso di simili materie prime. Negli ultimi anni, poi, la pratica ha superato lo status di trend, affermandosi come nuova frontiera della sostenibilità a tavola e sul bancone. Oggi lo chiamiamo “foraging” e ne attribuiamo il merito allo chef danese René Redzepi, che ne ha riacceso la popolarità col suo ristorante Noma a Copenaghen… ma non lasciatevi ingannare! Dietro lo sciccoso anglismo si nasconde la stessa pratica primordiale, la quale però, inquadrata nel contesto odierno, rivela benefici considerevoli.

Innanzitutto sul piano produttivo: il foraging riduce al minimo gli sprechi, favorendo la stagionalità e località. Poi sul piano esperienziale: il foraging permette di scoprire i sapori reali che caratterizzano ogni territorio, nonché di ristabilire un contatto diretto con la natura selvaggia, che ci aiuta combattere lo stress e ci rende più consapevoli dell’importanza di salvaguardare gli ecosistemi e la biodiversità. 

Tuttavia, benché sembri alla portata di tutti, il foraging richiede obbligatoriamente una certa competenza. Bisogna saper riconoscere molto bene quali radici, erbe, bacche, vegetali e funghi spontanei sono commestibili, per non rischiare di avvelenare qualcuno. A coloro che, come noi, sono abituati a raccogliere soltanto dagli scaffali del supermercato, consigliamo di rivolgersi a esperti qualificati come biologi e botanici prima di ingerire alcunché di selvatico. 

A parte ciò, il foraging offre una maggiore varietà per il nostro palato – che incontra nuove caratteristiche organolettiche e nutizionali –  ma anche un discreto risparmio economico e un nuovo orizzonte creativo da esplorare, sia in campo gastronomico  che nel beverage.

Un Paese Bevibile: la Svezia

Preparare il proprio drink mentre si è immersi nella natura, cogliendo gli ingredienti che più ci ispirano. Sembra un sogno, ma in Svezia è già realtà. Come riferisce un sito ufficiale, nel paese si è diffusa l’usanza di comporre e bere i propri cocktail in natura, utilizzando le molte varietà di frutta, bacche, vegetali e sorgenti d’acqua che il patrimonio naturalistico svedese ha da offrire. Anzi, intorno ai cocktail selvatici fai-da-te il governo ha istituito addirittura un programma, chiamato The Drinkable Country, che prevede l’apertura di 10 postazioni a libero accesso destinate ai visitatori che desiderano creare il proprio drink on spot con l’aiuto dei migliori esperti, così da trasformare la Svezia nel “più grande bar all’aperto del mondo.”

A ogni modo, la pratica dei cocktail selvatici si è già fatta strada nel mondo del beverage di diverse città europee e italiane (da Milano a Venezia a Roma). In particolare, l’impiego di materie prime spontanee ha portato una ventata di ispirazione sui banconi di tutta Italia, dando vita a nuove esperienze interamente dedicate al foraging drink.

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La wild-mixology in Italia

Pioniere della categoria è Wood*ing di Valeria Margherita Mosca, laboratorio e bar diffuso con base in Brianza che studia il cibo selvatico – dalla raccolta, alla conservazione, all’impiego di aromatici e agenti fermentanti – e promuove la cultura della wild-mixology attraverso pubblicazioni, iniziative e corsi in collaborazione con Legambiente e Coldiretti. Il wild food lab aveva anche aperto un bar a Milano, che però è stato poi trasferito a Courmayeur. A ogni modo, per Wood*ing sono passati tanti ottimi professionisti sia affermati che emergenti – tra cui, di recente, la bartender Erica Vigevani del locale milanese Bob – e sono stati lanciati vari prodotti, come la linea di spirits Selvatiq, ideata da Mosca insieme all’imprenditore Charles Lanthier.

Altri esempi noti della wild-mixology in Italia sono il Jerry Thomas Project di Roma, che ha elaborato il Vermouth del Professore, una miscela che unisce vino bianco delle Langhe, alcool purissimo, spezie e circa 15 erbe spontanee raccolte sulle Alpi più vicine a Torino. Il Millemisture a Milano, che propone una linea di drink all’aroma di “macchia mediterranea”, arricchiti cioè da erbe spontanee raccolte sull’isola di Capraia – dove il principale bartender del locale, Giovanni Maffeis, ha un’azienda agricola che fa foraging. E il Mag Café, sempre a Milano, dove si può gustare il Pechino Express, un cocktail fatto con gin e bacche di mirto bianco. Meritano una menzione anche Elia Calò, bartender d’esperienza appassionato di erbe spontanee e aromatiche, che, a partire dal canale Youtube il Giardino Sotto Il Naso, ha dato vita all’omonima linea di distillati e al Bar Mita; e l’agriturismo Ferdy, a Bergamo, tra le Alpi Orobie, che ha fatto del foraging uno dei suoi punti forti e propone vini selvatici, amari forage e interessanti wild drink per eremiti.

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Foto: Eleonora Cerri Pecorella

Quando l’arte riscopre la natura: Pierre Gaignard

L’artista francese Pierre Gaignard ha fatto propria la visione proposta dalla cultura forage, dedicandosi alla ricerca di elementi naturali locali e dando vita a un’opera che miscela arte, sostenibilità e riscoperta del territorio. Profondamente legato alla città di Roma, ha raccolto le molte erbe spontanee che crescono lungo il fiume Tevere; ha poi allestito un erbario nella veranda del proprio appartamento, dove ha ideato e distillato la sua opera, “l’amaro del Tevere”, attorno alla quale ha concepito una mostra, che si è tenuta a luglio dello scorso anno negli splendidi spazi di Fontana Più Stella House, residenza romana a due passi da Villa Borghese. L’evento rientrava nel programma dell’edizione 2022 di “Ante Operam”, mostra collettiva organizzata da Isabella Vitale e Flaminia Bonifaci, un progetto site specific per gli ambienti di Palazzo Marescalchi Belli, allora in attesa di essere rinnovati. Il titolo dell’esposizione prende in prestito il termine tecnico con cui si indica una casa prima della sua ristrutturazione.

L’esempio di Gaignard conferma ulteriormente come la raccolta di erbe spontanee sia molto più che una vecchia usanza o un trend passeggero, ma una cultura in espansione tutta da scoprire, capace di offrire nuovi punti di vista creativi e rinnovati modi di amare il nostro territorio. 

Claudia Spinato

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