Adaptive fashion: la nuova frontiera della moda

Una rivoluzione per l’inclusività che recupera una fetta di mercato troppo a lungo trascurata

La rappresentazione mediatica stabilisce i confini del nostro immaginario. Influenza la visione che abbiamo del mondo e degli altri, indicando cosa rientra nella “norma”, ovvero chi ha il diritto di essere visto e considerato. Non è una teoria, ma un fatto molto concreto, che tocca la vita quotidiana di miliardi di persone. Al mondo esistono tante diversità e tutte devono essere incluse nella vita pubblica: perché più differenze riconosciamo, più il concetto di “normalità” si amplia. Per giunta, in tutti gli ambiti di cui entra a far parte, l’idea di inclusività porta benefici a molti livelli: creativo, tecnico, lavorativo, economico. E, a livello sociale, contribuisce ad accorciare le distanze tra le persone, alimentando l’empatia e la solidarietà.

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Foto: Caa Worldwide

La nuova frontiera della moda

Per nostra fortuna, il mondo della moda ha fatto propria questa consapevolezza e si sta aprendo al cambiamento, abbracciando l’inclusività in tutte le sue sfaccettature. In questa entusiasmante rivoluzione, la nuova frontiera è rappresentata dalla cosiddetta moda adattiva, che si occupa di progettare e creare tipologie di abbigliamento per le persone con disabilità. Prima di dare un’occhiata alle notizie più recenti, prendiamoci qualche riga per capire bene cosa significa adaptive fashion e per ricostruire i passi avanti più recenti compiuti finora dal settore.

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Foto: IMAXTree per Genentech

Che significa adaptive fashion?

Come riferiva su Economia&Management la fashion designer e ricercatrice Miriana Leccia, per poter essere definito veramente “inclusivo” un capo di vestiario deve essere: 

  • accessibile, cioè “facile da indossare sia da soli sia con l’aiuto di qualcuno”; 
  • intelligente, cioè “pensato per non causare irritazioni e arrossamenti alla persona”;
  • alla moda, cioè “in grado di soddisfare esigenze di gusto e contemporaneità”.

Qual è il suo obiettivo?

L’obiettivo dell’adaptive fashion è quindi quello di comprendere i bisogni del cliente, che variano a seconda del tipo di disabilità, ed elaborare soluzioni che siano comode, funzionali e al contempo soddisfino “la funzione psicologica e sociale rivestita dall’abbigliamento”, ovvero:

  • presentarci agli altri in maniera autentica;
  • esprimere la nostra identità e i nostri gusti;
  • vivere serenamente le relazioni;
  • rispondere ai codici estetici e comportamentali di ciascun contesto.
 
Ne viene fuori una moda che, invece di inseguire la perfezione e la conformità, esalta l’unicità di ogni corpo, puntando su una produzione sempre più personalizzata, specializzata e tecnicamente avanzata in termini di tessuti, componenti, modelli ed ergonomia.
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Foto: Iulia Barton

Altro che mercato di nicchia

ANSA riporta che, secondo l’OMS, circa un europeo su cinque convive con una qualche forma di disabilità. Parliamo quindi di una minoranza numerosa, che costituisce un vasto bacino di consumatori. Altro che mercato di nicchia: stando ai dati presentati la sopracitata Dottoressa Leccia, la spesa cui sarebbero disposti gli acquirenti con disabilità ammonterebbe a più di 8 miliardi di dollari in abbigliamento. 

La maggior parte dei soggetti attivi nel mercato continua però a ignorare questo grande potenziale, anche nei paesi in cui la new wave della moda adattiva è già arrivata. In Gran Bretagna le persone con disabilità sono almeno 12 milioni, e, secondo una campagna di sensibilizzazione del 2017 intitolata “Help Me Spend My Money”, ogni settimana vanno persi 420 milioni di sterline. 

La stessa cosa accade poi nel comparto pubblicitario. Come si leggeva a dicembre scorso su Il Sole 24 Ore, negli USA i cittadini con disabilità costituiscono il 26% della popolazione, ma solo l’1% delle pubblicità li rappresenta. Inoltre, a livello mondiale, l’investimento per rendere le campagne inclusive intercetta solo il 3% della spesa complessiva. 

A ogni modo, seppur lentamente, le cose stanno cambiando. I marchi coinvolti in questa rivoluzione sono sempre di più, e non solo per ragioni di business, ma anche per migliorare la propria brand reputation.

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Foto: Iulia Barton

L’esempio di Iulia Barton

In questo ambito, l’Italia è purtroppo il fanalino di coda, ma c’è chi si sta ponendo in controtendenza per abbattere le barriere anche qui. Prima fra tutti Iulia Barton, brand fondato nel 2016 da Giulia Bartoccioni dopo una lunga esperienza nel campo dell’inclusione sociale. 

Il marchio nasce infatti come agenzia di moda inclusiva, il cui obiettivo era inserire nel Fashion System persone che ne venivano generalmente escluse, perché con disabilità e provenienti da contesti sociali svantaggiati. Nel settembre 2022, in occasione della MFW, il brand ha presentato la sua prima collezione: “Adaptive”, una selezione di 20 pezzi completamente adaptive, no gender e no season, progettati per una vestibilità universale. Versatili e intercambiabili, i capi di Barton sono 100% Made in Italy e hanno anche il pregio di essere del tutto eco-sostenibili e animal free. 

Abbiamo chiesto alla CEO e direttrice creativa Giulia Bartoccioni qual è lo stato dell’arte in Italia e quali sono le prospettive future di Barton:

“ll progetto è nato da un forte bisogno di rendere la moda accessibile. Tutto ha origine da un’esperienza personale, dopo l’incidente di mio fratello avvenuto 25 anni fa. Il mio desiderio è quello di riuscire con questa collezione a valorizzare le caratteristiche uniche di genere, età, abilità e orientamento sessuale, permettendo a chiunque di esprimere la propria unicità con stile ed identità. ‘Adaptive’ rappresenta un momento storico in cui raccogliamo i frutti degli anni di impegno nella moda inclusiva del brand Iulia Barton. L’obiettivo è guardare al presente e al futuro con una prospettiva diversa, che promuova al tempo stesso i concetti di avanguardia sociale e di esclusività adaptive e no gender. 

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Foto: Iulia Barton

Circa 1,3 miliardi di persone nel mondo hanno una disabilità; in Italia sono 3 milioni e 100mila le persone che quando passano di fronte a una vetrina non si riconoscono in ciò che viene proposto. Analizzando i dati da un punto di vista puramente imprenditoriale, l’adaptive clothing, oltre a essere un tema sociale di grande impatto, rappresenta una concreta opportunità di business. La strada verso l’inclusione a livello internazionale è ancora in salita, in Italia lo è ancor di più.

Per andare realmente incontro alle necessità delle persone serve esperienza in questo campo e un ascolto attivo: ed è proprio ciò che in tutti questi anni abbiamo cercato di costruire. Attualmente il brand ha una community attiva a livello internazionale di circa 30mila persone, con un target di riferimento che va dai 25 ai 45 anni. Il nostro obiettivo è quello di avvicinare la Generazione Z. In totale, il 62% è un pubblico femminile, un 43% maschile, mentre un 5% è genderless. Puntiamo a far crescere quest’ultimo rapidamente.”

Matilde D'Accardi

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