Sono sempre di più le persone e i marchi nel mondo che si stanno impegnando a rendere la moda sostenibile. La produzione e la lavorazione dei tessuti rappresenta la maggior parte dell’impronta al carbonio del settore, perciò gli sforzi si stanno concentrando proprio sull’innovazione tessile.
Foto: Marie Vinter’s Hacking Silk project, Spider Inc., Ferragamo
Naturalmente sostenibili
Tessuti come cotone, lino, juta, canapa, lana e agave sono naturali e provengono da fonti rinnovabili ma spesso, soprattutto se vergini, si rivelano non sostenibili: perciò si stanno cercando alternative innovative. Come Inside Mettle Milk, realizzato con il surplus di latte del settore agricolo italiano. Oppure Orange Fiber, prodotto con agrumi di scarto destinati al macero, già usato da stilisti come Salvatore Ferragamo. Inoltre, come alternativa alla classica seta, che non è vegetale né green, sono state inventate: la B-Silk, biodegradabile e vegana; e la Spider Silk, fatta di tela di ragno e resistente come il metallo.
Foto: Stella McCartney Infinite Hoodie using NuCycl
Riciclo Mon Amour
Una delle maggiori branche dell’innovazione tessile è il riciclo delle fibre, soprattutto di quelle sintetiche come il nylon, il poliestere, l’acrilico e l’elastam (la lycra), che sono altamente inquinanti.
Tra le soluzione più diffuse abbiamo la lana rigenerata da vecchi indumenti o residui tessili, il cotone riciclato – che però viene quasi sempre mescolato ad altre fibre – e il poliestere riciclato, che si ottiene da bottiglie di plastica PET. Due esempi di tessuti riciclati sono Circulose e NuCycl, materiali realizzati a partire unicamente da indumenti dismessi. Il primo è prodotto dal brand svedese Renewcell mediante energia rinnovabile: si tratta di cotone sciolto in polpa di legno e trasformato in una viscosa; H&M è stato tra i primi a utilizzarlo e Levi’s nel 2022 lo ha impiegato per produrre i suoi iconici 501. Il secondo appartiene all’azienda americana Evrnu, è prodotto a partire da rifiuti di cotone post-consumo ed è stato usato nel 2019 da Stella McCartney e Adidas.
Foto: MycoWorks
Una nuova pelle
Una delle prime alternative alla Vera Pelle e all’Ecopelle a emergere è stata Piñatex, ricavata dai sottoprodotti della raccolta dell’ananas. Si tratta di un mix di pelle vegana e di PLA, una plastica a base biologica, rifinito in PU, un materiale poliuretanico che serve ad assicurare una maggiore durata; è stato adottato da diversi brand, come H&M e Hugo Boss. Poi abbiamo Mylo, materiale prodotto dalla compagnia statunitense MycoWorks a partire dal micelio; usato da Stella McCartney, Adidas, Kering e Lululemon, non è però privo di plastica. Reishi, l’evoluzione più sostenibile di Mylo, è fatta con cellule fungine, ingegnerizzate e alimentate con rifiuti agricoli, ed è conciata senza sostanze sintetiche; è stata lanciata da MycoWorks con Hermès nel 2021.
Il materiale no-plastic Mirum, invece, viene prodotto a partire da piante e minerali e può essere riciclato all’infinito; sostenuto da Ralph Lauren, è già stato impiegato dai marchi Allbirds e Pangaia. Vegea, prodotto con gli scarti dell’industria vinicola mescolati al PU, ed è stato poi scelto da marchi come Calvin Klein, Ganni e Pangaia.
Foto: H&M; Pangaia
Infine c’è la pelle realizzata in laboratorio dalla start-up VitroLabs, che ha Kering tra gli investitori; prodotta con pochissime cellule animali, è fatta per assomigliare quanto più possibile alla pelle vera. E poi c’è Desserto, la similpelle di Adriano di Marti, brand italiano creato da due imprenditori messicani: ricavata dalle foglie del cactus Nobal, è al 100% vegetale, è biodegradabile, ha un basso impatto ambientale ed è molto resistente e molto versatile; è già stata impiegata da Fossil, H&M e da Karl Lagerfeld.
Sintetici a base biologica?
Acetato, triacetato e viscosa sono prodotti artificialmente a partire dalla cellulosa degli alberi o dagli scarti di altre filiere produttive; tuttavia, non possono essere considerati propriamente sostenibili. Perciò è stato inventato il Tencel, ovvero una tipologia sostenibile di lyocell, che è una fibra parzialmente sintetica prodotta con la pasta di legno di eucalipto. Brevettato da Lenzing, azienda austriaca, viene realizzato unicamente con alberi di foreste la cui gestione è garantita ecosostenibile, in un processo produttivo a circuito chiuso, che spreca poca acqua e permette il riutilizzo del 99% dei solventi.
Ma il filone più promettente in questa ricerca è la produzione di materiali sintetici al 100% a base biologica. A questo proposito Vogue riporta due esempi: Kintra e Clarus. Il primo è un tessuto realizzato con zuccheri derivati dal mais e dal grano; rappresenta un’alternativa biodegradabile al poliestere ed è prodotto da un’azienda omonima in partnership con la già citata Pangaia. Clarus invece è una tecnologia ideata da Natural Fiber Welding che può trasformare le fibre naturali (cotone, canapa, lana) in tessuti che hanno le stesse qualità dei materiali sintetici; nel 2022 Ralph Lauren l’ha usata creare le sue prime polo sostenibili.
Foto: Newlight Technologies – AirCarbon
Tessuti che assorbono CO2
Infine, ci sono i materiali a impronta di carbonio negativa, come AirCarbon, l’alternativa in pelle sposata da Nike che assorbe la CO2 dall’atmosfera imitando un processo naturale proprio degli organismi marini; o come il materiale sviluppato da LanzaTech, scelto da Zara e Lululemon, che converte la CO2 delle acciaierie in un tipo di etanolo, poi trasformato in poliestere.
Insomma, tra certificazioni, processi produttivi e brevetti, le novità in questo campo sono ormai all’ordine del giorno. Non ci resta che sostenere questa preziosa innovazione, tenendoci aggiornati e imparando a vestirci in modo più consapevole.